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UN PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE RELATIVISTICO: IL ds^2

A RELATIVISTIC CONSERVATION PRINCIPLE: THE ds^2
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UN PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE RELATIVISTICO: L'INVARIANTE ds^2



A RELATIVISTIC CONSERVATION PRINCIPLE: THE ds^2



Un principio di conservazione relativistico: l’invariante ds2

Nel saggio “Termodinamica & vita” abbiamo sottolineato come la Scienza (quella con la esse maiuscola) abbia, tra i propri obiettivi, la ricerca delle grandezze che rimangono inalterate dopo una trasformazione.
A chi ama le spiegazioni semplici dedichiamo queste rapidissime note, redatte da un vil meccanico, intese a mostrare qualcosa che rimane invariato in una trasformazione relativistica.
Ricordiamo che la teoria della relatività prese l’abbrivio dal risultato negativo dell’esperimento di Michelson e Morley (1887) e, per darne un’interpretazione, ci si misero i più bravi fisici del tempo (in primis l’olandese Heindrich Lorentz). Tuttavia solo Einstein ebbe il fegato di spiegarlo, nel 1906, postulando la costanza della velocità della luce rispetto a qualunque osservatore costringendo i fisici ad abbandonare definitivamente la necessità di riempire tutto l’universo di quello stranissimo fluido chiamato etere eliminando il concetto di sistema di riferimento assoluto e rendendo vane tutte le vexatae questiones intorno al moto dei corpi celesti: è il sole che si muove, no è la terra, forse è la luna etc. etc.
Vogliamo rispondere alla seguente domanda: qual’è la grandezza invariante tipica della prima relatività? A tale scopo consideriamo due osservatori, il primo dei quali sia solidale con un dato sistema di riferimento a propria volta solidale con la terra (quel che normalmente si classifica come “fermo”), l’altro sia solidale ad un sistema di riferimento in moto rispetto al primo (per esempio su di un treno). Se la velocità della luce è costante per qualunque osservatore cosa dobbiamo dedurre dalla Figura 1 che riproduce l’essenza del “treno di Einstein”?















Figura 1 – Il raggio di luce a velocità c per i due osservatori
rappresenta un raggio di luce che, partendo da A raggiunge il soffitto in B come lo vede l’osservatore 2. è la traiettoria del raggio medesimo come vista dall’osservatore 1.
Si nota subito che, nel triangolo rettangolo ABC, rappresentando ct1 l’ipotenusa e ct2 un cateto ed essendo v (velocità del treno) e c (velocità della luce) costanti, poiché ct1>ct2 deve essere t1 > t2!
La relazione intercedente tra i due tempi si ricava applicando in maniera banale il Teorema di Pitagora (non occorre di più):

AC2 = AB2 + BC2 , ovvero c2t12 = c t22 + vt12,

e da qui si ricava una celebre formula contenente il “coefficiente di contrazione” (adimensionale) di Lorentz (indicato generalmente con γ):

.

Se 0<vγ>o per cui, entro questi limiti, il denominatore è sempre maggiore di zero e, quindi, t1 > t2 sempre (per l’osservatore 1 il tempo “passa più in fretta”).
Quando si fanno esempi numerici è bene assumere velocità (e spazi) paragonabili alla velocità della luce e che diano un coefficiente di contrazione razionale: per esempio v=240.000 km/sec, con questa assunzione il fattore di contrazione assume il valore γ=0,6 per cui il tempo del viaggiatore in moto risulta rallentato del 40%.
Ciò significa che, non solo il suo orologio, ma anche tutto il suo sistema biologico assume un altro ritmo: il cuore invece di fare pum, pum, pum farà pum…, pum…, pum… (vedasi il Paradosso dei Gemelli).
A questo punto è altrettanto facile comprendere la contrazione delle lunghezze: il viaggiatore 2, sul treno, che osserva due pali ai bordi della ferrovia, ne deduce la distanza controllando col proprio orologio il tempo t2 che separa i due pali stessi, sapendo che la propria velocità è v dirà che la loro distanza è D2=vt2 dove t2 , tempo proprio, è minore (perché il tempo proprio è rallentato), rispetto a t1, di un fattore pari al coefficiente di dilatazione γ:

D1 = D2 γ ,
dove con D2 abbiamo indicato la lunghezza propria intercorrente tra i due pali (cioè misurata in un sistema di riferimento solidale con i pali). Si può concludere che l’osservatore vede le lunghezze, del sistema di riferimento in moto, contrarsi nella direzione del moto.
Reciprocamente l’analoga osservazione fatta dall’osservatore 1 circa la lunghezza del treno in moto avente lunghezza propria L0 (cioè misurata a bordo del treno), porterà alla conclusione che LR (lunghezza relativistica) è

LR = L0 γ .

Infatti, essendo L0 = ct2 ed LR = ct1, potremo scrivere

, ovvero LR = L0 γ .

Osserviamo la Figura 2:



Figura 2 – La contrazione delle lunghezze per γ= 0,6

chi è a bordo del treno (come dire in un sistema di riferimento solidale al treno) misurerà una lunghezza L0 = ct2 (il passeggero 2 vedrà che, emettendo un raggio di luce a velocità c all’inizio del convoglio, esso raggiungerà la coda nel tempo t2). Man mano che il treno frena per fermarsi, esso treno si allungherà (come una fisarmonica) in modo che la propria lunghezza, una volta fermo, diventerà L0=LR (allora per il passeggero si sarà fermata la ferrovia!).
A questo punto siamo in grado di capire cosa non varia in questa trasformazione: guardiamo attentamente entrambe le figure. Poniamo che, sia il passeggero 2 che l’osservatore 1, si prendano la briga di misurare l’altezza del vagone che abbiamo indicato con h. E’ chiaro che entrambe misureranno lo stesso valore! Ecco l’invariante: le lunghezze ortogonali al moto.
Per obbedire alla liturgia del caso, con s indichiamo lo spazio invariante (corrispondente all’altezza del convoglio), con x lo spazio percorso dal sistema di riferimento in moto e con t il tempo proprio dell’osservatore. Osservando la Figura 1, l’invariante s si può scrivere:

s = c2t2 – x2,

facilmente verificabile perché se si dilata il tempo si contrae la lunghezza e viceversa.
In un moto nello spazio tridimensionale, ovviamente, assume la seguente forma:

s2 = c2t2 – x2 – y2 – z2 .

In uno spazio n-dimensionale etc. etc.
A questo punto è d’uopo generalizzare per il caso che la velocità v vari nel tempo (come dire nel caso che sia v=v(t)); dobbiamo …cogliere l’attimo e scrivere la medesima equazione che valga istante per istante (quel che si dice in forma puntuale):

ds2 = c2 dt2 – dx2 – dy2 – dz2 ,

che è la forma canonica di ciò che si conserva in una trasformazione relativistica.







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